Vigneti Piemontemare

I Vigneti Piemontemare, di proprietà della casa vinicola Ghio fondata nel 1881, si estendono, tra terrazzamenti, ruscelli e boschi, su una superficie di circa 45 ettari nel comune di Bosio, il più alto della zona del Gavi e dell’Ovada, il lembo di terra più vicino al Mar Ligure di tutto il Piemonte.

Qui si sovrappongono le zone di ben tre docg: Gavi, Ovada e Alta Langa.

Da Bosio verso sud si diramano gli antichi sentieri che conducono al Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo: tradizioni di terra di confine, conservate con il rispetto e con l’amore per il passato.

A nord i vigneti, distribuiti in un territorio relativamente piccolo, offrono una grande diversificazione, come è grande la varietà della conformazione collinare, determinata da una particolare condizione morfologica e microclimatica. Per questo motivo appezzamenti anche attigui possiedono caratteristiche profondamente diverse, uniche e irripetibili.

A sud invece si trova il complesso di Cascina Menta, situato nel cuore del parco di Capanne di Marcarolo, sito naturalistico di interesse comunitario. Gli edifici del 1600, già proprietà della famiglia patrizia genovese dei Centurioni, sono noti per essere stati teatro di parecchie vicende legate alla Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale, tanto da essere stati in parte bruciati per rappresaglia dalle forze nazifasciste. Il terreno circostante si estende su un’area di circa 23 Ha, intorno agli 800 metri di altitudine sul livello del mare, di cui 2 piantati a vite. L’impianto risulta dunque avere due primati: è la vigna più alta del sud Piemonte e la più vicina al mare di tutta la regione.

Nei terreni di queste zone d’Italia, “segrete” e tutte da scoprire, si stagliano gli storici Vigneti Piemontemare, identificati uno per uno con quei termini dialettali divenuti nel tempo i blasonati toponimi con cui l’azienda tuttora qualifica i propri vini.

Le uve della vigna di Pian Lazzarino, della Vecchia, dell’Arciprete, delle Zucche, della Cascina, di Zané, dei Piasi, di Pilomberto e della Fistonia, compatibilmente con l’andamento della stagione, vengono coltivate ad hoc e vinificate separatamente secondo una filosofia aziendale, che punta alla massima caratterizzazione.

Produrre un vino significa dare voce alla terra e conservare nel tempo la memoria di un’annata con le sue piogge, la neve, il sole, il vento e le lune. Questo inscindibile rapporto tra uomo e natura è la culla di quella tradizione che ha fatto grandi i vini piemontesi. Gesti, usi antichi e rispetto per l’ambiente permettono di proporre vini di carattere, lontani dalle mode, che esprimono con taglio originale il vigneto di partenza.

Senza l’uso di diserbanti in vigna, con il minimo uso di solforosa in cantina, con il riutilizzo del legno di vigna per il riscaldamento domestico, con l’uso di bottiglie leggere ed un parziale riciclo dei vuoti l’azienda si impegna a garantire una grande salubrità del prodotto, è a perseguire una sempre maggiore ecosostenibilità.

PIAN LAZZARINO

L’alpino Carlo Repetto, detto Lisse, vecchio proprietario di Pian Lazzarinovendeva a molti il rinomato vino bianco che produceva da questa vigna, la cui esposizione e il cui terreno sono tra i migliori di tutta la zona del Gavi. Un anno in occasione della Castagnata, antica festa paesana, venne a trovarlo uno dei suoi migliori clienti, curioso di vedere i filari dai quali proveniva quel vino che tanto gli piaceva e di cui, tra l’altro, in quel giorno di festa, aveva bevuto qualche bicchiere di troppo. Per questo chiese a Lisse e al nonno Domenico Ghio, dettoTumé, che era con loro, di mostrargli il vigneto di Pian Lazzarino. Egli però non era preparato alla gran pendenza del vigneto e, complice quel buon Cortese, scivolò per l’erto pendio. Seduto a terra, mentre i due compagni ridevano divertiti, sbottò a gran voce: “Questo non è Piano! E’ soltanto Lazzarino!” (Con il termine “Lazzarino” nel dialetto locale si può intendere dispettoso). Acquistammo questo terreno nei primi anni del secolo. Nell’ottobre 2014, una forte alluvione causò una frana di circa 3000 metri al centro dell’impianto, che ci obbliga tuttora a lavorare la parte di terreno dissestata con zappa e olio di gomito.

PIASI

Si tramanda che questa vigna in passato probabilmente fosse di competenza della chiesa di Bosio, verso la quale i terreni sono rivolti. Da alcuni documenti storici si deduce possa essere stata la prima zona di produzione di vino bianco nel territorio del Gavi.
Quando nel 1632 il reverendo Pietro Camisano, parroco di Bosio, morendo, lasciò vacante la parrocchia, costrinse l’Arciprete di Gavi Monsignor Domenico Montessoro a redigere uno scrupoloso inventario nel quale, tra arredi sacri e vettovaglie, fa per la prima volta il suo ingresso nella storia il vino bianco che sarebbe diventato famoso in tutto il mondo col nome di Gavi.
Nella cantina del defunto reverendo furono trovate le citate:
“…doe botte una con un serchio di ferro et le
restanti di tutte dua di legno, di tenute l’una de barili 14 l’altra di nove, piene in circa di vino bianco.”
Il vecchio proprietario Lino Repetto, detto Burina, per assenza di passaggio carrabile, era solito portare l’uva a spalle fino alla cantina per qualche chilometro. Egli aveva, come molti in quel di Bosio, una passione per il goffo, primo gioco di carte vietato in Italia. In paese girava voce che il povero Burina non vincesse mai, ma una notte al bar dello Sport era già in vincita di una bella cifra e la sorte sembrava essere sua alleata. Si alzò per andare in bagno e, proprio in quel momento, la bisca fu scoperta. Tra il fuggi-fuggi generale le autorità chiesero a chi appartenesse tutto quel denaro e Burina, unico a potersi facilmente defilare, poiché assente in quel momento, reclamò a gran voce la tanto agognata vincita. In caserma tutti se la cavarono con poco, giustificando la malefatta come un’usanza del paese, ma Burina ancora non sapeva rinunciare al suo bottino
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PILOMBERTO

L’ex proprietario del terreno, tale Lumein, assiduo giocatore di Pallino da Tre, nobile variazione del biliardo tipicamente piemontese, fu assunto a lavoro in giornata con l’amico Sandron dal signor Grosso, detto Puioa.
Lumein, complice una disgrazia familiare, trovava spesso conforto, oltre che nel biliardo, anche nella compagnia di un bel bicchiere di vino; perciò il buon Puioa ne metteva ogni giorno quattro bottiglie a disposizione dei due lavoratori.
Tutte le sere, prima di addormentarsi, Lumein, preoccupato che il compagno, altro buon bevitore, si dimenticasse di lui, lo ammoniva ironico con questa battuta: “Se durante la notte ti svegli e hai sete, sveglia anche me, ché ho sente anch’io!”

ZANÉ

Racconta la leggenda che in un tempo lontano parte di questo terreno fosse stato oggetto di controversia a causa della disonestà di un vecchio proprietario. Si dice che costui, il “bel merlo”, approfittando della buona fede di un acquirente, tentò addirittura di farsi pagare il terreno due volte. Fu un vecchio decreto regio a risolvere la cosa in favore della giustizia e il prepotente che gridava forte fu dipinto dal folklore popolare come “un asino vestito con la pelle del leone”.
Traendo spunto da questo racconto e dall’asino in questione, rispolverammo un’idea del nonno Tumè, il quale affermava che un tempo, assieme al cortese, uva con cui produciamo il Gavi, fosse presente nelle più vecchie vigne di famiglia un altro raro e sorprendente vitigno chiamato Caricalasino: in onore al caro nonno proprio in questi aspri pendii ne abbiamo messo a dimora un intero vigneto
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LE ZUCCHE

Vigna isolata dalle altre, vicina al bosco dove comincia l’Appennino. Qui il terreno presenta sia la marna bianca, sia il terreno tipico delle nostre conformazioni montuose.
Il suo nome deriva da una storia popolare di paese, che racconta di una signora di Bosio che coltivava zucchine e le vendeva da ambulante nella vicina frazione Costa – Santo Stefano. La signora, nel proporre le proprie verdure, diceva: “Ne volete zuccotti?”.
Pare che alcuni abitanti, pensando che con quel termine alludesse alla loro zucca (testa), si offesero a tal punto da cacciarla, minacciandola coi bastoni.
Dopo quell’episodio la signora fu costretta a cambiare canzone, dicendo in rima: “I ne vrei’d chilui? Dui sôdi, dui sôdi dui?” (Ne volete di questi? Solo due soldi, due soldi due?).
Per questo, ancora oggi, gli abitanti di questa frazione vengono apostrofati scherzosamente “zuccotti” dagli amici dei paesi vicini.

L’ ARCIPRETE

Il primo vigneto storico di Ovada D.O.C.G., immatricolato all’albo della regione Piemonte con il numero 001. Si dice appartenesse ad un arciprete che eremitava poichè costretto a spretarsi a causa della sua passione per le donne. Più recentemente fu proprietà di Mario Bagnasco, detto Fugnu, caro amico del nonno Domenico Tumé. Il Fugnu durante la guerra commerciava in farina al mercato nero, un giorno però fu scoperto e portato davanti al giudice.
Al momento di difendersi al banco degli imputati, egli si giustificò così: “Signor Giudice, un po’ per i miei figli affamati, un po’ per la mia cara madre ammalata, un po’ per la povera gente…”
A questo punto il giudice indignato sbottò con un colpo di martello e lo apostrofò con veemenza: “E lei lo avrebbe fatto per la povera gente?! A cento lire al quintale?! ”.
Fu grazie alla sua innata simpatia che, nonostante tutto, intenerì la corte e se la cavò con pochi giorni giorni al fresco.
Ricordiamo la cara signora Elena Brengio, nuora del Fugnu, che donò la vigna alla nostra famiglia.

LA CASCINA

FISTONIA

Il vecchio proprietario della vigna, detto Panissa, era uno scaltro giocatore di palla-pugno (pallone elastico), tradizionale sport ligure-piemontese. Egli amava misurarsi sempre con tale Genio du Bagattu, il quale era un vero fuoriclasse in questo gioco.
Sfruttando con malizia il lustro e la boria del campione, Panissa lo convinse che, per equilibrare la sfida, avrebbe dovuto gareggiare con una brinta (grosso recipiente in legno usato per il travaso del vino) a spalle.
Con quell’ingombro sulla schiena però, Genio, per quanto fosse abile, non riusciva quasi mai a spuntarla: molto di più delle doti del fenomeno poteva la furbizia dell’astuto Panissa.

LA VECCHIA

Gemma du Sodu, Lino Bigen, Elvira Grosso e il Feru erano alcuni dei proprietari di questa fertile sponda, esposta ad ovest e rinomata per la vocazione alla coltivazione dell’uva Nibiö, antica varietà di Dolcetto.
Questi si riferivano alla loro parte di vigna chiamandola alcuni “il rosso dell’uovo”, altri “il cuore della valle”, vantandosi ognuno di avere l’appezzamento migliore.
Fu così che, quando ci accingemmo all’acquisto di questi terreni, ardua fu la trattativa, poiché quale cifra si poteva pretendere per una vallata con due cuori e per un uovo da due rossi?

Azienda Agricola Ghio Roberto
Vigneti Piemontemare
Via Circonvallazione, 3, 15060 Bosio (AL) Italia

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